Le Caste . .

07/09/2008

Da Brescia a Reggio Calabria: così la Gelmini diventò avvocato

Scritto da: Sergio Rizzo – Gian Antonio Stella alle 01:20

Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini, ignara delle polemiche che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche «scientifiche» internazionali a dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi. La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione, la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull’ uno o sull’ altro fronte, gran parte delle intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su “laStampa.it” da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l’hanno intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: «Un po’ di dignità ministro: si dimetta!!» Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni. Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente del Consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l’esame di Stato. Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea: occorre iscriversi all’ albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che accertino l’effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto l’esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti d’Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l’esame è infatti facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali. Un esempio? Catanzaro, dove negli anni Novanta l’«esamificio» diventa via via un’industria. I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con mesi d’ anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell’ esame. Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell’ esame taroccato nella sede d’Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore di ortografia («recisamente» al posto di «precisamente», con la «p» iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: «I candidati – giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata – avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? – spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni -. Entra un commissario e fa: “Scrivete”. E comincia a dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo». Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d’esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%. Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi precedenti. In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l’ esame per ottenere l’ abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l’ esame. Per gli altri, nulla. C’era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l’esame a Reggio Calabria». I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c’ era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme. Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell’ Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio, ma sempre Mezzogiorno è. E l’ esame? Com’ è stato l’esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l’esame facile, le sarà però un po’ più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell’importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul sette in condotta, sull’ imposizione dell’ educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile?    

 

Gian Antonio Stella

Pubblicato il 07.09.08 01:20 | Commenti(36) | Invia il post
27/08/2008

Sicilia, raddoppiata in tre anni l’indennità degli assessori

Scritto da: Sergio Rizzo alle 14:06

C’è un numero che da solo spiega perché il federalismo fiscale e la Regione siciliana non possono andare d’accordo. Si trova a pagina 57, riga 6, di un rapporto appena sfornato dalla Corte dei conti dove si denuncia che nel triennio 2005-2007 l’indennità di carica per i componenti della giunta regionale è aumentata del 114,77%. C’è scritto proprio così: +114,77%. Mentre nel Paese infuriava la bufera sui costi della politica, mentre a Roma si cercava di salvare la faccia proponendo sforbiciate qua e là, mentre Romano Prodi tagliava del 30% il suo stipendio e quello dei suoi colleghi, la spesa per l’indennità degli assessori siciliani magicamente più che raddoppiava. Con il risultato che oggi un componente della giunta regionale guadagna più di un ministro. Chi è assessore e deputato regionale porta a casa più di 14 mila euro netti al mese. Gli assessori esterni se ne devono invece far bastare 11 mila o giù di lì. Il loro stipendio è infatti di 18.120,70 euro lordi al mese: 217.448 l’anno. Circa 15 mila più di un ministro non parlamentare.

Va da sé che con la riforma federalista questo andazzo non potrà continuare. Ma i sacrifici a cui saranno chiamati gli assessori faranno ridere rispetto al resto dei problemi. Il personale, per esempio. La relazione della Corte rivela che nel triennio 2005-2007 la spesa per gli stipendi è aumentata del 18,1%, il triplo dell’inflazione. Nel 2007 i dipendenti sono costati 714 milioni, il 37% più del 2001. All’esplosione ha contributo, spiegano i magistrati contabili, «il notevole ampliamento del numero di dipendenti a tempo determinato a seguito della decisione assunta dalla giunta regionale di procedere alla contrattualizzazione» di alcuni precari. Quanti erano? 3.496. Più o meno come tutti i dipendenti della Regione Lombardia e degli enti collegati, che secondo il conto annuale del Tesoro sono 3.961. Per inciso, la Lombardia ha 9 milioni e mezzo di abitanti contro i 5 milioni della Sicilia.

La mega infornata di precari risale alla fine del 2005, pochi mesi prima delle elezioni regionali che avrebbero confermato Salvatore «Totò» Cuffaro alla presidenza della Regione. Come se non bastasse, sottolinea il rapporto della Corte dei conti, l’amministrazione regionale ha poi provveduto a «stabilizzare» altri 130 precari l’anno successivo e ancora altri 197 nel 2007. Non c’è perciò da stupirsi che la bulimica macchina regionale si sia gonfiata all’inverosimile: alla fine del 2006 si contavano 20.448 dipendenti, di cui 14.291 a tempo indeterminato, 5.455 ex precari stabilizzati e 702 lavoratori socialmente utili. I dirigenti sono ben oltre duemila, con un aumento inarrestabile della spesa per le retribuzioni «di posizione di risultato», determinato dal «notevole incremento del numero degli uffici di massima dimensione e delle strutture intermedie». Ma siccome è regola che non ci siano figli e figliastri, pure i dipendenti «a tempo» hanno avuto la loro parte. E poco importa che l’aumento del «trattamento accessorio» per questo personale sia stato concesso, dice la Corte dei conti, «in violazione delle disposizioni normative e contrattuali». Perché il 6 febbraio scorso, una decina di giorni dopo le dimissioni di Cuffaro e un paio di mesi prima delle elezioni che avrebbero incoronato Raffaele Lombardo, la Regione ha approvato per legge una tanto scontata quanto provvidenziale sanatoria. Per non parlare dei consulenti. Le norme fissano in tre il numero massimo per ogni assessorato più un consulente per il servizio «controllo strategico»? Ebbene, nel 2007 gli incarichi di consulenza affidati da 10 dei 12 assessori, più il presidente, erano 51, di cui 5 per il cosiddetto controllo strategico. E che dire della spesa per le pensioni? Nel 2007 è arrivata a 538 milioni, il 31,6% in più rispetto al 2001, con una crescita del 7,8% soltanto nell’ultimo anno. Il motivo? L’aumento del 51,6% dei dipendenti della Regione che se ne sono andati in pensione: 413 persone in dodici mesi.

Inevitabili, a fronte di questa situazione, gli interrogativi. Perché Lombardo è potente alleato di Silvio Berlusconi, che a lui deve la schiacciante e decisiva vittoria del centrodestra nei collegi elettorali dell’isola. Ma sa benissimo che la riforma, pure «a misura di Sicilia» come lui stesso ha chiesto, potrebbe rivelarsi un massacro se venissero tagliati massicciamente i trasferimenti alle Regioni meno virtuose. Anche perché i segnali di una svolta, in Sicilia, mancano del tutto. La Regione ha varato un piano di riorganizzazione che dovrebbe comportare un risparmio di circa 1,6 milioni di euro l’anno negli stipendi dei dirigenti dal 2008 al 2010. A parte le considerazioni circa l’entità dell’economia prevista, considerando che il monte «salari» dei dirigenti, salito fra il 2001 e il 2005 di oltre il 45%, supera ormai i 160 milioni di euro, i magistrati contabili arrivano a mettere in discussione che il modestissimo risparmio possa essere conseguito, anche perché «emerge in maniera evidente che l’attuazione delle misure proposte non prevede una diminuzione delle strutture burocratiche». Se infatti il numero delle aree e dei servizi viene ridotto da 546 a 403, quelle delle unità operative aumenta da 1.184 a 1.329.

Ma in discussione, sanità a parte, è anche l’intera struttura delle uscite regionali. A una fortissima crescita della spesa per stipendi e pensioni ha fatto riscontro, negli ultimi tre anni, un calo dei trasferimenti alle famiglie (-9,8%) e alle imprese (-42,9%). E se la Regione, dice la Corte dei conti, spende troppo poco per le opere pubbliche e il turismo, sulla formazione professionale corrono fiumi di denaro. L’anno scorso, 432 milioni di euro. Ma senza che se ne vedano risultati, se è vero, come sottolinea il rapporto, che «la disoccupazione giovanile, alla quale dovrebbe prevalentemente rivolgersi la spesa per la formazione professionale, nel 2005 è stata del 40,6% per gli uomini e del 52,1% per le donne».

Pubblicato il 27.08.08 14:06 | Commenti(16) | Invia il post
19/08/2008

Commercio, il fondo (obbligatorio) vale 80 poltrone

Scritto da: Sergio Rizzo alle 15:38

Niente paura: Est non corre alcun rischio. Nonostante la Cgil, contrariamente a Cisl e Uil, non abbia firmato l’ultimo contratto del commercio, non ci saranno ripercussioni sull’aspetto, per dire così, più prosaico dei rapporti fra i sindacati confederali del commercio e alcune associazioni datoriali del settore. 
Sono quelli che riguardano un fondo sanitario integrativo istituito nel 2005 in seguito al precedente accordo che era stato, quello invece sì, sottoscritto dalla Cgil, con la Cisl e la Uil, e Confcommercio, Fipe e Fiavet. L’hanno battezzato: Fondo Est. La sua particolarità è che si tratta di uno strumento obbligatorio. Tutte le aziende che applicano quel contratto (la Confesercenti non è fra i firmatari) sono cioè vincolate a versare 120 euro l’anno per ogni dipendente, oltre a una quota una tantum che oscilla dagli 8 ai 30 euro pro capite. Il mancato versamento dei contributi rappresenta una violazione contrattuale. Inutile dire che le somme in gioco sono enormi. Basta fare un semplice calcolo: se gli iscritti al Fondo fossero già un milione, il flusso annuo si aggirerebbe intorno ai 120 milioni. 
Ma siccome la platea potenziale è di 2,8 milioni di dipendenti, le cifre potrebbero essere anche molto superiori. Non c’è quindi da stupirsi che, in accordo con le migliori abitudini italiane, a tanti 
Se gli iscritti fossero un milione, il flusso annuo si aggirerebbe sui 120 milioni 
soldi corrispondano tante poltrone. Anche se quelle del Fondo Est sembrano decisamente troppe. Basta dire che il consiglio direttivo è composto da 36 (trentasei) persone più due «invitati». Metà delle trentasei poltrone è occupato da sindacalisti, ripartiti fra Cgil, Cisl e Uil. 
L’altra metà, invece, è assegnata ai rappresentanti delle organizzazioni. Fra di loro, incidentalmente, anche un deputato dell’Assemblea regionale siciliana appartenente al Popolo della Libertà: Roberto Corona, della Camera di commercio di Messina, la città del precedente presidente della Confcommercio, Sergio Billè. Alla testa del consiglio direttivo c’è il potente Simonpaolo Buongiardino, storico presidente dei concessionari Fiat, che dal 1995 ha un ruolo chiave nella Confcommercio. Abilissimo spadaccino, nel 1997, a cinquant’anni appena compiuti, si è laureato campione del mondo veterano ai mondiali di spada individuale di Città del Capo. Vicepresidente è invece un altro potentissimo personaggio nel mondo del commercio: Brunetto Boco, inossidabile segretario della Uiltucs- Uil, attualmente presidente dell’Enasarco. 
Alle 38 poltrone (36 più due invitati) del comitato direttivo si devono poi sommare le 12 del comitato di gestione del comparto turismo, le altre 12 del comitato di gestione del comparto terziario e le 18 della giunta esecutiva. Va precisato che molti di questi posti sono occupati dalle stesse persone. Ma questo non rende meno sorprendente il numero totale dei seggi: ottanta. Più tre componenti del collegio sindacale, fanno ottantatré. Vi chiederete: a che cosa serve tutta questa gente? Domanda non peregrina, anche perché per la gestione materiale il Fondo si avvale della collaborazione di una compagnia assicurativa di prim’ordine: nientemeno che le Generali, che operano in coassicurazione con Unisalute, del gruppo Unipol. 
Per giunta, le Generali utilizzano come intermediario con il Fondo un Agente speciale nella figura della Assingest srl, una società, come risulta dal sito dell’Isvap, che aveva all’inizio come «responsabile dell’attività d’intermediazione », nonché amministratore delegato, Andrea Pozzi, successivamente rilevato nell’incarico societario da suo fratello Francesco: entrambi figli di Stefano Pozzi, assicuratore di fiducia della Confcommercio di Carlo Sangalli.
Pubblicato il 19.08.08 15:38 | Commenti(0) | Invia il post
06/08/2008

Il Senato spende 260 mila euro per le agende del 2009

Scritto da: Sergio Rizzo alle 19:07

Per la prima volta quest’anno il bilancio del Senato contiene un’appendice con l’elenco dei fornitori. Ebbene, scorriamolo. Palazzo Madama ha speso 19.080 euro per noleggiare “piante ornamentali” dalla società L’Oasi snc di Katja Ruckwardt e Alessandro Spanicciati (noleggio durato sei mesi, da gennaio a giugno di quest’anno). Altri 260 mila euro (mezzo miliardo di vecchie lire) se ne sono andati per la fornitura di “agende da tavolo e agendine” dalla Nazareno Gabrielli diaries spa. Per non parlare di quello che c’è nel capitolo “servizi di trasporto”. Come i 105 mila euro spesi per il noleggio di nove Alfa 166, con un contratto con la Lease plan Italia spa che scade il 30 settembre 2009. O ancora, i 78.000 euro sborsati per noleggiare per nove mesi 8 Lancia Thesis: 1.083 euro al mese l’una. O i 61 mila euro impiegati per “Noleggio e fleet management Audi A6 security” dalla Volkswagen leasing (quante macchine? Una soltanto oppure dodici? Magari blindate?) Oppure i 3.470 euro per sei mesi di affitto di un minifurgone Piaggio Porter per la biblioteca. Boh….
Pubblicato il 06.08.08 19:07 | Commenti(10) | Invia il post
01/08/2008

Saggese all’Agenzia spaziale, l’uomo giusto al posto giusto…..

Scritto da: Sergio Rizzo alle 18:27

Del presidente dell’Agenzia spaziale italiana, il fisico Giovanni Bignami,  nominato nel 2007 dall’ex ministro dell’Università Fabio Mussi, conosciamo il curriculum scientifico e le iniziative prese durante la finora breve (15 mesi) permanenza alla presidenza di quell’ente pubblico. Da questi elementi non si evincono i motivi concreti per i quali la ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini avrebbe deciso nelle scorse settimane di farlo fuori e commissariare l’Agenzia. Lei sostiene che si è trattato di una scelta “non politica” ma “dovuta”. Perché dovuta? Ma perché il consiglio di amministrazione si sarebbe dimesso improvvisamente in blocco (tutti, tranne il professor Marcello Onofri), rendendo inevitabile il commissariamento. Dimissioni evidentemente non casuali. Anzi, se quel consiglio di amministrazione non fosse stato nominato al tempo del centrosinistra, verrebbe il sospetto che le dimissioni siano state indotte proprio per arrivare alla decapitazione dell’ente. Tanto più che uno dei componenti di quel consiglio dimissionario, Piero Benvenuti, è stato indicato dal governo Berlusconi come subcommissario, al fianco del commissario Enrico Saggese. E qui viene il bello. Perché Saggese altri non è che il direttore delle attività spaziali della Finmeccanica. Proprio così. Grazie a un colpo di mano (indotto, non indotto?) nel consiglio di amministrazione, il governo sostituisce al vertice dell’Asi uno scienziato con il responsabile dell’azienda che è la principale destinataria dei finanziamenti della stessa Agenzia spaziale. Un fatto di inaudita gravità, che sarebbe considerato una follia in ogni paese civile. E che, aggiungiamo, nemmeno giova all’immagine internazionale della Finmeccanica. Per quanto riguarda l’affermazione della ministra Gelmini circa il fatto che non sia stata una scelta “politica”, siamo sicuri che sia andata proprio così? Forse Saggese non è l’ex amministrato delegato della Telespazio considerato amico intimo dell’ex ministro delle Comunicazioni di Alleanza nazionale, Maurizio Gasparri? E quell’Enrico Saggese che compariva nell’ottobre del 1996 nell’organigramma di Alleanza nazionale varato dall’allora segretario Gianfranco Fini come responsabile dell’ufficio internet del partito, è soltanto un caso di omonimia?
Pubblicato il 01.08.08 18:27 | Commenti(7) | Invia il post
28/07/2008

Pubblicità in Puglia: risponde l’assessore

Scritto da: Sergio Rizzo alle 12:23

Gentili Rizzo e Stella, gentili lettori,   

       sono Massimo Ostillio, assessore al turismo della Puglia e politico – avrebbe detto Vittorio Gassman – con un grande avvenire dietro le spalle, un paio di iscrizioni di scorta (all’ordine dei giornalisti ed alla federazione delle relazioni pubbliche) e la ferrea volontà di modernizzare un settore che, in Puglia, arriva ormai a muovere annualmente quasi quattro miliardi di euro, ma che continua a mancare nei fondamentali.

Da sempre, per noi il turismo è racchiuso in pochi concetti: “tanto, con il mare che abbiamo, i turisti vengono a prescindere” oppure “la Regione dovrebbe promuovere maggiormente il settore”. Insomma, un’opera impegnativa per modificare atteggiamenti e modi di fare.

Basti pensare che alla BIT di Milano continuano ad andare per i fatti loro comuni con meno di diecimila abitanti, poco conosciuti anche turisticamente, o che la Regione ha comprato per decenni i fondi di magazzino degli editori locali (al 50% del prezzo di copertina, bontà loro) ed ha promosso il nonsense dello slogan “dove la natura è colore”, senza mai porsi il problema di darsi una strategia, di pianificare gli interventi, di programmare serie azioni di promocommercializzazione.

Abbiamo tentato, in questi anni, di cambiare le cose: adottando nuove linee di indirizzo, approvando i piani pluriennali di promozione, individuando target, mercati e paesi di riferimento per i nostri interventi mirati, investendo con oculatezza le sempre minori risorse a disposizione.

Sulla scorta di idee ed obiettivi ben chiari, abbiamo anche pensato (mal ce ne incolse) di attivare – per la prima volta – un piano unico di comunicazione, coordinando ed integrando tutti gli aspetti di immagine, come si fa ormai in tutto il mondo. Risale a novembre 2006, quasi due anni fa, una mia precisa proposta, accolta con successo al primo Forum del Turismo (oltre duemila partecipanti!), dove dedicammo all’argomento lunghe discussioni ed un apposito gruppo di lavoro. Mandai pochi giorni dopo una lettera agli uffici amministrativi competenti, dicendo di muoversi tempestivamente. Feci un vero e proprio “elenco della spesa”, spiegando per bene cosa occorresse: creatività, advertising, nuovo marchio e relativo manuale di utilizzo, piano media, merchandising ecc. ecc.

Lungaggini burocratiche, materia nuova, problemi e imprevisti, ricorsi: la tempistica si è dilatata a dismisura, alla faccia della mia richiesta di tempestività, collegata anche alle scadenze dei fondi europei da utilizzare. Ci si è messo perfino un dipendente che ha sbagliato il codice di gara, scambiando le attività di comunicazione con quelle sportive…

Da buon meridionale, avrei forse dovuto capire che la materia portava jella e comportarmi come don Benedetto Croce, trovando magari il tempo per scrivere un trattato sull’argomento!

Ma sarebbe ingeneroso guardare solo all’indolenza ed agli errori del “pubblico”, senza badare ai vizi ed alle virtù di un settore in continua ebollizione e competizione. Il mondo della comunicazione, infatti, ha dimostrato in questo ambito di essere fin troppo effervescente, tanto a livello locale che nazionale.

A livello nazionale, basti ricordare la serie di ricorsi che ha bloccato le analoghe procedure svolte dalla Sardegna e da altre amministrazioni regionali e locali. E che dire dell’ENIT, che ancora trascina una gara in materia da svariati mesi, senza arrivare a capo di niente? E Dio solo sa se non serva come il pane un piano di comunicazione per promuovere il turismo italiano all’estero!

I motivi sono sempre gli stessi. Per semplificare, diciamo che le grandi holding internazionali determinano intrecci azionari tra gruppi e partecipazioni, difficili da sciogliere e da controllare.

Addirittura in un caso, mi raccontano, un ricorrente ha esibito – per dimostrare le proprie ragioni – un documento presentato da un’azienda del settore, al momento della propria richiesta di quotazione alla Borsa di New York, che stabiliva in modo inoppugnabile il rapporto controllore-controllato, negato in sede di gara, con pregiudizio dei diritti degli altri concorrenti.

Insomma, una competizione che ha trovato anche il modo per ripetersi “in salsa pugliese”.

Infatti, alle lentezze burocratiche si sono aggiunti i tentativi, alti e nobili ovviamente, di favorire il territorio (non i singoli, si badi bene) con suggerimenti che avrebbero fatto inorridire l’Unione europea, spacchettamenti di prestazioni o imposizione di vincoli improbabili…

Conservo un carteggio, simpatico in verità, con cui alcuni “esperti di comunicazione”, dopo aver sposato obiettivi e procedure, si preoccupavano di trovare il modo di modificare taluni aspetti a loro indigesti, immaginando una campagna stampa ad hoc, quasi come questa suscitata dalle rimostranze (alcune giuste e pienamente condivisibili) del signor Cappelli.

E che dire di concorrenti che abbandonano la partecipazione alla procedura di gara due giorni prima dell’aggiudicazione della stessa? C’entra forse l’Amministrazione?

Detto questo: trovo legittimo discutere dell’argomento e criticare responsabilità e ritardi che, una volta accertati, saranno certamente oggetto di valutazione e decisioni specifiche della Regione; trovo giusto discutere della possibile preclusione alle testate giornalistiche e televisive nella partecipazione a questo tipo di gare, ovvero dei limiti da porre loro (in larga parte previsti dal bando in questione); e trovo infine condivisibile l’appello a cambiare procedure e mentalità, per riuscire ad affrontare in modo nuovo e più efficace i problemi che ci sono davanti, soprattutto per quel che riguarda il turismo.

Pubblicato il 28.07.08 12:23 | Commenti(10) | Invia il post
25/07/2008

Io: americano, pugliese, pubblicitario e indignato

Scritto da: Sergio Rizzo alle 14:07

Quella che segue è una lettera aperta spedita agli organi di stampa da un imprenditore americano di origine pugliese dopo aver partecipato a una gara indetta dalla Regione Puglia per un contratto pubblicitario da 7 milioni di euro: soldi dell’Unione europea che dovrebbero essere impiegati per promuovere il turismo. La pubblichiamo tutta, senza nessun commento. Non ce n’è bisogno. In appendice abbiamo aggiunto, però, una nota di risposta che ci è giunta dalla Regione Puglia.   

New York, 22 luglio 2008

Io: americano, pugliese, pubblicitario e indignato.
Ecco perché non parteciperò mai più a dei bandi pubblici italiani per la comunicazione.

I fatti sono questi: il giorno 14 dicembre 2007 la Regione Puglia pubblica un bando per la comunicazione e la promozione del suo territorio in Italia e nel mondo. I soldi in gioco non sono pochi: 7 milioni di euro! E, trattandosi di soldi della Comunità Europea, sono tutti da spendere, come è ben chiarito nel bando, nel biennio 2007-2008.

E già qui, io che sono americano, forse ingenuo e forse idealista, ravviso la prima anomalia. Dalle mie parti, se qualcuno riceve dei finanziamenti pubblici e gli dicono che deve spenderli in un certo modo, lo fa.

Sarebbe come se il mio medico mi dicesse che per guarire dalla mia malattia devo prendere una certa medicina per due anni; e io decido di prendere le medicine solo il secondo anno, ma due alla volta.

Io ho un’agenzia di pubblicità a New York e una in Italia e tante agenzie appartenenti al nostro gruppo nei principali Paesi d’Europa. Sono cittadino americano e residente italiano. La mia famiglia è di origine pugliese, conosco, rispetto e amo la Puglia. Come avrei potuto non partecipare a questo bando? Così, insieme ai miei soci e alle agenzie del nostro system internazionale, ci siamo messi al lavoro: strategia, creatività, numeri, idee e carte. Tante carte, centinaia di carte, milioni di carte! Il giorno 11 febbraio 2008 si chiude il bando e 7 agenzie, oltre a noi, presentano la loro proposta. Che vinca il migliore, penso.

E qui, la seconda anomalia: scopro che in gara non ci sono solo agenzie di pubblicità e comunicazione, ma anche gruppi di editori ed emittenti televisive pugliesi. Strano, no? Dalle nostre parti, la comunicazione la fanno le agenzie di comunicazione. È come se per promuovere la vendita dei miei gelati nei bar di tutto il mondo, io chiedessi al bar sotto casa mia di farmi la campagna.

Ma arriviamo alla terza anomalia. È febbraio, l’estate si avvicina e le proposte dormono nei cassetti della Regione, sotto una calda coltre di polvere. Passano i mesi e la mia meraviglia cresce: come è possibile, chiedo da NY ai miei colleghi in Italia. Hanno perso la scorsa stagione, non vorranno perdere anche questa? Sì, vogliono perdere anche questa. Oggi, 20 di luglio del 2008, l’appalto per promuovere la Puglia nel biennio 2007-2008 non è ancora stato assegnato. Dopo l’apertura delle ultime buste, la classifica suscita qualche perplessità e strane ombre macchiano la certezza dell’assegnazione. E indovinate chi c’è in prima posizione? “Il bar sotto casa”. Per dire, senza offesa, proprio l’impresa locale.

Non so se e quando verrà ufficializzata l’assegnazione del budget, ma so che spendere sette milioni di euro in spot televisivi, annunci stampa, spot radiofonici, volantini e brochure, tutto in una manciata di settimane di fine anno, è un affronto al buon senso. E per che cosa, poi? Per attirare in Puglia gli sciatori e gli amanti degli sport invernali di tutto il mondo?

Ecco le mie conclusioni: ho partecipato sapendo di poter vincere. Ma mettendo anche in conto di perdere. Non abbiamo perso, peggio: siamo stati esclusi per un vizio di forma. Stavamo per fare ricorso perché il nostro avvocato dice che i motivi della nostra esclusione non esistono. Ho fermato tutto e ho scelto di scrivere questa lettera. Non mi interessa essere complice di questo spreco di soldi. Mi interessa denunciarlo. Lo faccio da pubblicitario americano indignato, da residente italiano orgoglioso, da pugliese ferito. E mi chiedo: perché nessuno fa sentire la sua voce? La Comunità Europea non ha niente da dire vedendo come vengono usati i suoi soldi? E le associazioni dei pubblicitari italiani non sentono di dover difendere la loro professionalità?

So che quando aprirò i giornali americani vedrò le pubblicità delle altre regioni italiane. E so anche che quando atterrerò la prossima volta a Roma-Fiumicino vedrò grandi cartelli pubblicitari della Sicilia, della Toscana, ecc. E riderò quando arriverò a Bari Palese e, come sempre, ci saranno i cartelloni che promuovono il turismo in Puglia. Come al solito i soldi saranno spesi bene!

Ecco, detto fatto. Mi assumo le conseguenze del mio gesto. E auguro buon lavoro alle emittenti televisive e alle case editrici che, unite insieme in Associazione temporanea d’Imprese, vedranno aggiudicarsi il bando. Ad aspettarle, ci sono una manciata di settimane di duro lavoro! A produrre la campagna e a mandarla in onda sulle loro emittenti. Così almeno i Pugliesi sceglieranno l’anno prossimo di andare in vacanza in Puglia.
 

Paul Cappelli

Founder and President The Ad Store International

 

LA RISPOSTA DELLA REGIONE

In merito alla nota pubblicata sul sito corriere.it e sul blog di Stella-Rizzo la Regione Puglia precisa quanto segue: La gara per l’aggiudicazione della campagna di comunicazione per il turismo pugliese è sicuramente uno degli appalti più complessi che la Regione Puglia ha messo a bando negli ultimi anni. Non si trattava infatti di una mera campagna, ma di un sistema complesso di azioni di comunicazione e di marketing dal costo complessivo di circa sette milioni di euro. Gli uffici regionali hanno quindi proceduto all’analisi delle proposte presentate, giungendo a una graduatoria e a un’aggiudicazione provvisoria della gara, con il vincitore che dovrà ancora presentare le necessarie integrazioni per l’aggiudicazione definitiva. L’azienda del signor Paul Cappelli è stata esclusa non per un vizio di forma ma per una questione sostanziale. Infatti la mancata presentazione della ripartizione di spesa nell’offerta economica è un errore non secondario per un’azienda importante e di livello internazionale. L’errore – che può considerarsi grave – non è per le leggi italiane un particolare “in una montagna di carte”, ma un’omissione che porta all’esclusione dalle procedure di gara. Riguardo infine le lentezze lamentate, si fa ancora presente la complessità dell’appalto, con società che hanno riportato punteggi non distanti tra loro e con un alto tasso di litigiosità con l’amministrazione appaltante, che ha visto numerosi ricorsi, diffide e note presentate già in fase di gara. I tempi sicuramente possono essere considerati dilatati, ma gli uffici hanno lavorato e stanno lavorando per ottenere il migliore risultato possibile nelle condizioni date per un settore strategico come il turismo che per la Puglia certamente non è secondario.

 

Nico Lorusso – servizio stampa Giunta Regionale Pugliese

Pubblicato il 25.07.08 14:07 | Commenti(57) | Invia il post
24/07/2008

Al Senato spesa senza freni, quest’anno sale di 12 milioni

Scritto da: Sergio Rizzo – Gian Antonio Stella alle 14:59

Quattro milioni l’anno: tanto il senato avrebbe risparmiato grazie alla riduzione dei gruppi parlamentari. Il calcolo l’aveva fatto l’Ansa, quarantottore dopo le elezioni, citando “fonti parlamentari”. Quattro milioni: sui circa 600 che ogni anno spendiamo per la Camera alta non è una gran cifra. Ma sarebbe stato sempre meglio di niente. Invece di quei quattro piccoli milioni, nel bilancio che il Senato approva oggi, non c’è nemmeno l’ombra. Anzi. Nonostante il numero dei gruppi si sia dimezzato, passando da 11 a sei, e quest’anno ce ne siano stati quindi cinque in meno per otto mesi (la nuova legislatura è iniziata il 23 aprile), spenderemo addirittura 750 mila euro in più. Il conto salirà dai 39 milioni 350 mila euro del 2007 a 40 milioni 100 mila euro: è scritto nero su bianco a pagina 65 del bilancio. L’aumento è dell’1,91%, superiore anche a quell’inflazione programmata che doveva rappresentare il limite invalicabile delle spese. Chiamiamola col suo nome: un’autentica beffa.   

Eppure ci avevano provato, alla fine dell’anno scorso, a contenere le spese del Senato almeno entro quel tetto. C’era voluta, è vero, la spallata di un emendamento alla Finanziaria presentato da Massimo Villone e Cesare Salvi, due senatori della sinistra rimasti senza seggio al pari dei loro colleghi di schieramento, per costringere l’amministrazione delle Camere, ma anche quella del Quirinale, ad assumere come riferimento l’inflazione programmata e non più, com’era stato fino ad allora, il prodotto interno lordo nominale, che consentiva agli organi costituzionali, in realtà, di fare i furbetti. Tagliare di oltre 5 milioni le previsioni di uscita del Senato per quest’anno, tuttavia, non era stato affatto facile. Ma alla fine il senatore del Pd Gianni Nieddu (non ricandidato dal suo partito) era riuscito a convincere la presidenza di Franco Marini a disdettare un contratto del personale che prevede scatti e automatismi tali da avere spinto le retribuzioni dei dipendenti del Senato a una media di oltre 131 mila euro lordi pro capite, e con un aumento di oltre mille euro al mese in un solo anno. Da quell’intervento dovevano arrivare risparmi per almeno 3 milioni e mezzo di euro, a coronamento di un impegno solenne assunto per iscritto dal consiglio di presidenza del Senato: quello di ridurre in modo significativo l’incidenza del costo del personale sulle spese correnti, che aveva ormai superato il 40%. E la manovra sugli stipendi sarebbe stata appena l’antipasto, seguito da un piatto ancora più sostanzioso: l’innalzamento dell’età minima pensionabile per tutti i dipendenti di Palazzo Madama a 53 anni.

Sappiamo com’è andata. La fine anticipata della legislatura ha mandato in soffitta quel progetto, così chi è entrato al Senato prima del 1998 potrà continuare a ritirarsi dal lavoro anche a 50 anni, infischiandosene di scaloni e scalini. E ha mandato in soffitta anche la disdetta del contratto del personale: lo ha deciso la commissione contenziosa, uno speciale organismo interno, motivando la revoca con un vizio di forma. Il risultato è che la spesa per gli stipendi, invece di diminuire, salirà ancora: dell’1,14%. E non basta. La somma dei costi per il personale in attività e per i pensionati, che beneficiano come i dipendenti degli aumenti retributivi, ha raggiunto il 42,92% delle uscite complessive, contro il 42,74% del 2007 e il 41,52% del 2006. Numeri che hanno indotto i tre questori Romano Comincioli (Pdl), Benedetto Adragna (Pd) e Paolo Franco (Lega Nord) ad ammettere una resa senza condizioni: «Non è stato possibile conseguire l’obiettivo di inversione dell’andamento della spesa in proposito fissato dal documento sulle linee guida», hanno scritto nel bilancio. Quest’anno, poi, c’è anche la ciliegina sulla torta dei nuovi vitalizi a 57 parlamentari non rieletti e dei 7 milioni 251 mila euro per pagare gli «assegni di solidarietà» (si chiamano proprio così) ai senatori che hanno perso il posto.

Risultato: le spese correnti del Senato raggiungeranno quest’anno 570,6 milioni, 12 milioni 273.500 euro in più rispetto al 2007, con un aumento del 2,20%. Alla faccia di un’inflazione programmata dell’1,7%. Si dirà che il costo della vita è salito molto di più, e comunque nel bilancio c’è l’impegno a non far salire nel 2009 le spese oltre l’1,5% programmato dal Tesoro. Ma questo cambia poco. La sostanza è che le spese continuano ad aumentare, con poche eccezioni. Il costo per i servizi di ristorazione, per esempio cresce dello 0,76% a 2,8 milioni. Quello per le pulizie e il facchinaggio aumenta invece del 6,53%, da 4,3 a 4,6 milioni. La bolletta dell’acqua, poi, non si schioda dai 300 mila euro. Mentre la spesa per «servizi informatici e riproduzione» si incrementa addirittura del 13,44%, raggiungendo 9,3 milioni. E continua anche l’espansione immobiliare. A pagina 44 del progetto di bilancio si parla di una trattativa che sarebbe stata in corso al momento in cui è stata predisposta la prima versione del documento contabile, a fine febbraio 2008, per «l’acquisizione in locazione dell’intero secondo piano di un immobile situato in piazza del Pantheon». Senza peraltro menzionare il costo dell’operazione. Soprattutto, come denuncia Antonio Paravia, che già si era astenuto sui precedenti bilanci, ci sono sempre i soliti problemi di trasparenza: «Il finanziamento dei gruppi, per esempio, non è sufficientemente dettagliato, e non si capisce bene come vengono impiegati i soldi. Il fatto è che i bilanci di Camera e Senato vengono scritti da tre questori, approvati dall’ufficio di presidenza, resi disponibili ai parlamentari quarantotto ore prima di essere portati in assemblea e ratificati dalle aule solitamente semideserte. Il che, per un bilancio come il nostro da 600 milioni, non è proprio un dettaglio». Si tranquillizzi, il senatore del Pdl. Comincioli, Adragna e Franco promettono una «rigorosa gestione delle risorse di bilancio, attenti all’obiettivo prioritario del contenimento della spesa». E se lo dicono loro…

Pubblicato il 24.07.08 14:59 | Commenti(13) | Invia il post
21/07/2008

L’Italia, dove un fallimento può durare mezzo secolo

Scritto da: Sergio Rizzo alle 00:09

Il Muro di Berlino era appena stato eretto. Papa Giovanni XXIII aveva scomunicato Fidel Castro. La Francia riconosceva l’indipendenza dell’Algeria e gli Stati Uniti di John Fitzgerald Kennedy non avevano ancora mandato il primo uomo nello spazio. In Italia Aldo Moro apriva la stagione del centrosinistra, Enrico Mattei regnava sull’Eni, Antonio Segni veniva nominato presidente della Repubblica. E mentre per la prima volta, dopo 400 anni, le orbite di Nettuno e Plutone si allineavano, in quel1962, a Taranto, falliva la ditta del signor Otello Semeraro. Chissà se la notizia meritò poche righe in cronaca. Troppo tempo è trascorso perché qualcuno lo rammenti. Di sicuro quel fatto merita di essere ricordato adesso. Non fosse altro perché oggi quel fallimento, a 46 (quarantasei) anni di distanza, è ancora aperto. Uno spettacolare caso di giustizia lumaca che dovrebbe far riflettere sui veri problemi da risolvere, in un Paese dove ancora una volta la questione è ridotta alla solita disputa sulle questioni processuali personali del presidente del Consiglio.  

E un caso tanto più spettacolare perché condito da particolari burocraticamente esilaranti. Come il “verbale di approvazione del rendiconto finale” ratificato lo scorso 23 giugno dal tribunale di Taranto, atto propedeutico alla sospirata chiusura di una procedura giudiziaria dalla lunghezza senza precedenti. Nel quale si legge la formula di rito secondo la quale “aventi l’Illustrissimo Signor Giudice Delegato Pietro Genoviva assistito dal cancelliere è personalmente comparso il curatore Michele Grippa (l’ultimo, naturalmente, ndr), il quale fa presente che tutti i creditori ed il fallito sono stati avvisati mediante raccomandata con avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del conto di cancelleria”. E il giudice “dà atto che all’udienza né il fallito né alcun creditore è comparso”. Assenza comprensibile, almeno per quanto riguarda il fallito, che anche volendo difficilmente si sarebbe potuto presentare. Fitto è il mistero dell’indirizzo al quale gli sarebbe stata recapitata la raccomandata, con tanto di ricevuta di ritorno: visto che, con ogni evidenza, egli non è più tra i vivi. La prova è nello stesso “rendiconto finale”, dal quale si evince che a suo tempo un importo di 10.263 euro è stato erogato “a  favore della vedova di O. Semeraro”. Importo peraltro non piccolo, viste le dimensioni del fallimento. Per quanto tuttavia le spettanze della vedova non siano affatto paragonabili a quanto incassato dagli avvocati durante questa interminabile causa: 50.398 euro, oltre un quarto di tutte le somme recuperate, che sono risultate pari a 188.314 euro, in valori attuali. Si tratta di una cifra apparentemente modestissima, oggi nemmeno sufficiente ad acquistare un piccolo sottoscala nella città di Milano. Ma che nel 1962, va sottolineato, aveva lo stesso peso di quasi quattro milioni di euro del 2008. Alla fine, dopo quarantasei anni, il conto dice che la procedura fallimentare ha incassato, liquidando le attività della ditta Semeraro Otello, 119 mila euro al netto delle uscite. Quasi 70 mila se ne sono andati in spese varie, nelle quali non è compreso il compenso definitivo dell’ultimo curatore, che è ancora da stabilire.

Dopo l’approvazione del rendiconto sarà la volta del deposito del piano di riparto finale: tempo stimato, secondo le consuetudini della giustizia italiana, un annetto. Sempre che a qualcuno non venga l’idea di fare opposizione. In tal caso, potrebbero passare altri anni. Coraggio: il record del mezzo secolo di sopravvivenza è a portata di mano.

 

Pubblicato il 21.07.08 00:09 | Commenti(11) | Invia il post
20/07/2008

Nel pantano della sanità

Scritto da: Gian Antonio Stella alle 12:18

Per favore, lo stupore no. Almeno quello ci sia risparmiato. I nuovi scandali che squassano il mondo della sanità dall’ Abruzzo alla Lombardia, al di là delle responsabilità delle persone coinvolte cui auguriamo di dimostrare una cristallina innocenza, sono frutti di un pantano da tempo sotto gli occhi di tutti. 
Ma certo, esistono straordinarie professionalità, ospedali eccellenti e migliaia di medici e infermieri che lavorano benissimo. E ignorarlo sarebbe ingiusto. La ripetitività con la quale scoppiano certi bubboni, anche in realtà complessivamente virtuose, segnala tuttavia un’ infezione profonda. 
Dal famoso pouf riempito di banconote e gioielli dalla moglie di Duilio Poggiolini alle migliaia di analisi-fantasma pagate a Giuseppe Poggi Longostrevi, dai rimborsi a Villa Santa Teresa di Bagheria pagati 21 volte più che a Milano fino ai polmoni asportati a ignari pazienti della «Santa Rita» solo per aumentare il fatturato, un filo conduttore c’ è: il caos. Il modo disordinato e spesso indecente col quale alcune Regioni hanno usato la crescente autonomia ottenuta nella gestione della Sanità. Un caos dentro il quale è successo e può succedere di tutto. 
Il Libro Verde dell’ Economia di qualche mese fa è ricco di esempi sconcertanti. Com’ è possibile che un dipendente prenda in media 38 mila euro in Friuli-Venezia Giulia e 51 mila in Campania? Che un posto letto costi 455 euro al giorno negli ospedali lombardi e 897 (quanto una suite al Plaza di New York) al San Camillo di Roma? Che i parti cesarei siano il 23% in Alto Adige e il 59% in Campania? Che la Sicilia abbia da sola un quarto di tutti gli ambulatori e i laboratori privati accreditati? Che ci siano reparti, come chirurgia vascolare a Catanzaro, che vengono tenuti in vita anche se in un anno occupano il 4% dei posti letto? I grandi buchi nascono da lì. Dal caos anarchico e clientelare che in questi anni, nel nome di una autogestione male intesa, ha consentito a ciascuno di fare come gli pareva. Al punto che solo in queste ultime ore e solo dopo durissime polemiche i manager delle Asl campane hanno sospeso (per adesso) la decisione di auto-aumentarsi di 30 mila euro l’ anno la propria busta paga. Un aumento indecoroso. Tanto più perché parallelo all’ arrivo dei nuovi dati sul buco sanitario regionale. Sprofondato ormai a circa dieci miliardi di euro. Per non dire degli abissi finanziari del Lazio o della Sicilia, dove pochi giorni fa la Corte dei Conti ha demolito il bilancio consuntivo regionale sottolineando che con i suoi 8 miliardi e mezzo di euro la Sanità isolana pesa «il 30% in più di quanto si spende per la Sanità in Finlandia». «Lei è un irresponsabile», ha detto gelido Giulio Tremonti a Roberto Formigoni che contestava i tagli imposti da Roma. L’ impressione, però, è che sia tutto il sistema a non volersi assumere fino in fondo le proprie responsabilità. Basti ricordare che alla Sanità (il cui ministero è evaporato nella ridistribuzione dei posti di governo) erano dedicate sette righe nel programma elettorale del Pdl, sei in quello del Pd. Tutti e due centrati su una promessa: l’ eliminazione delle liste d’ attesa. Forse, con una spesa salita a oltre 102 miliardi di euro e uno scandalo al giorno, c’ è da fare qualcosa di più.

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